Arti e mestieri a Grosseto

LA STORIA DELL’ARTIGIANATO NEL NOSTRO TERRITORIO

Nel corso del secolo XIII e nella metà del successivo, la città di Grosseto, con il suo territorio, conobbe uno dei periodi più prosperi della sua lunga storia.

Le condizioni ambientali erano particolarmente favorevoli: lo Stagno dei grossetani, già Lago Prile al tempo dei Romani e futuro Lago di Castiglioni, collegato con il mare, era un vasto specchio d’acqua, dal quale si ricavava sale. Le saline erano a poca distanza dalla città, in località Querciolo, toponimo che sopravvive tuttora nel podere omonimo, posto tra San Giovanni e la fattoria di Poggiale; inoltre, numerose pescaie del lago erano utilizzate per la cattura, soprattutto, delle anguille. Nei pressi della città erano localizzati altri specchi d’acqua ritenuti all’epoca pescosissimi, quali i laghi di Alberese e di Bernardo, che si trovava tra Grosseto e Bagnoroselle. È documentato che intorno alle mura cittadine esisteva una campagna intensamente coltivata (a frumento, a orzo etc), divisa in particelle di cui erano proprietari uomini grossetani. La presenza di numerose vigne e oliveti fa ritenere che la bonifica di una vasta area della piana tra Grosseto e il lago di Castiglione avesse raggiunto condizioni di eccellenza. Fin dagli inizi del Duecento, infine, i terreni marginali (le “paduline”, aree adiacenti allo Stagno, il Tombolo ed estese zone al di là dell’Ombrone tra il lago di Alberese e i colli di Grancia) erano adibiti a pascolo, che favorava lo sviluppo di una intensa attività di allevamento del bestiame. Dalla fine dello stesso secolo (inverno 1298), inoltre, i pascoli maremmani ospitarono armenti provenienti dalla Garfagnana (transumanza).

Agricoltura, allevamento del bestiame, estrazione del sale e pesca determinarono il nascere di una intensa attività commerciale e di trasformazione. Sale e cereali raccolti in capaci magazzini erano venduti a mercanti provenienti dalle grandi città interne quali Siena e Firenze o da quelle marittime come Pisa e Genova. Il commercio via mare era favorito dalla presenza di economiche e rapide vie di comunicazione fluviali e lacustri: un porto sorgeva sulle rive dell’Ombrone, fiume allora navigabile il cui corso era più vicino alla città di circa un miglio, e un altro porto, Portum Stagni, si trovava presso San Giovanni.

Tra le attività di trasformazione più significative ricordiamo quelle collegate all’allevamento del bestiame. Le carni erano lavorate dai carnaioli (macellai), in parte vendute al dettaglio e in parte salate; le pelli di bue servivano per la produzione di scarpe e quelle d’agnello per le pelliccie; la lana, cardata e tessuta dai pellipari, era usata anche per la fabbricazione di cappelli. L’alto numero di macellai e calzolai presenti nella nostra città nel Duecento (ben 11 i secondi nel 1224 e 6 i primi nel 1250 su una popolazione stimata di poco superiore ai 3.000 abitanti) fa ritenere che la carne e le pelli lavorate fossero destinate soprattutto all’esportazione.

Come risulta da atti di sottomissione di Grossetani al Comune di Siena, tre uomini della nostra città Boncompagno, Froderico e Lazio nel secondo decennio del 1.200 si dedicavano alla produzione di vino. Guglielmo, il mugnaio, e Orlandino, il fornaio, provvedevano a rifornire di farina e di pane le botteghe e i negozi cittadini. Nello stesso 1224 è documentata l’esistenza in città di quattro fabbri che fabbricavano e riparavano gli attrezzi necessari all’agricoltura. Lonardo, il poltaio, garantiva la costruzione e la vendita di robusti aratri in ferro.

Non mancavano specialisti nella lavorazione del marmo (Benencasa il marmoraio), nella fabbricazione di laterizi (Bonaffè il mattonaio e Bonsignore lo stoiaio, che intrecciava le cannucce raccolte nelle acque salate dello stagno e riforniva di stuoie le fornaci). I barbieri Ronaldo, Rustico e Ugolino, oltre tagliare barbe e capelli, svolgevano funzioni di infermieri, togliendo sangue (salassi). Mugnai, fornai, pescivendoli e macellai, tutti coloro che vendevano al dettaglio derrate alimentari, dovevano sottostare a precise norme emanate dalla Comunità a tutela dei consumatori.

Nel mese di gennaio di ogni anno i Priori, massima Magistratura cittadina, nominavano, per esempio, gli ufficiali sopra le carni, che dovevano provvedere a fissare i prezzi, verificare i pesi delle bilance e delle stadere, controllare ogni bestia prima della macellazione e, periodicamente, i magazzini in cui venivano conservate le carni. Annualmente, inoltre, tutti i macellai dovevano recarsi dal Notaio della camparia e giurare di fronte a lui, garantendo la vendita di prodotti di buona qualità e l’obbedienza agli ordini degli Ufficiali. I carnaioli erano tenuti a non vendere carne di bestia morta per cause naturali o malata o a macellare pecore, capre, montoni, becchi, maiali o bufale (carni di seconda scelta) se non dietro permesso rilasciato dagli Ufficiali. In caso contrario, al pagamento di una speciale penale in denaro, le carni contestate venivano bruciate. Ogni specie animale poteva essere macellata solo in determinati periodi: montoni e bufali dal 1 novembre a tutto carnevale;i becchi da maggio a luglio;porci tra natale e la fine del carnevale. Sullo stesso bancone potevano essere posti in vendita soltanto parti di castrone,porco e vaccina. Le altre dovevano trovare una giusta collocazione,ciascuna in un banco diverso. Chi vendeva carni doveva levarele capacce de’ porci et delle troie, come tiene l’orecchia et tucte le mascella senza scorticare…; et esse capacce et piei con le gambe de’ porci si venda a peso per mezzo peso che si vende la carne de’ porci et per altro modo no… I prodotti della pesca potevano essere posti in vendita soltanto in determinati luoghi del distretto di Grosseto a ciò deputati. Solo in casi di pioggia era possibile utilizzare i portici presso la polizia. Il pesce invenduto doveva essere consegnato al Notaio dela camparia, che provvedeva a farne tagliare le code, acciò che si cognoscano et più non si possa portare a vendere. I pescatori erano obbligati,alla chiusura del mercato,a spazzare e pulire e portare fuori la città le imondezze raccolte. Il prezzo del pesce era determinato mensilmente da soprastanti, che lo comunicavano al Notaio,obbligato a stendere un prezzario e ad esporlo in luogo visibile a tutti. Era fatto divieto assoluto di venderepesci cotti catturati nel fiume o ala torre dell’Ombrone o in mare o nela spiaggia del mare. Pesci catturati in luoghi diversi da quelli indicati potevano essere cotti e venduti soltanto da settembre alla fine di maggio. Era vietato vendere in estate da giugno ad agosto,pescato d’acqua dolce. Le anguille,crude o cotte,erano commerciabili soltanto da Pasqua a tutto settembre. Le infrazioni,punite con pesanti sanzioni pecuniarie,potevano essere denunciate da chiunque, con iuramento e con uno testimonio, ricevendo quale compenso un terzo dela condennagione riscossa.
 
Le intense attività economiche che caratterizzarono la vita cittadina nel corso del Duecento determinarono l’affermarsi di un ceto dirigente,detentori di ricchi patrimoni fondati sul lavoro,che svolse un importante ruolo nello sviluppo della città e nel riordino urbanistico che dalla fine del XIII secolo e i primi decenni di quello successivo caraterizzò Grosseto (Edificazione dlla Cattedrale,della Curia e di numerosi palazzi pubblici,tra i quali quello dei Priori di fronte al duomo,il palazzo del Podestà e del Comune). A tal fine ricordiamo che fu Carmignano,figlio di Feo il cappellaio,a fondare l’ospedale di San Giovanni Battista nel 1309,eretto nel luogo attualmente occupato dal palazzo del Comune; Pilicone Porcaiolo era consigliere comunale nel 1250 e suo fratello Crescenzio fu uno tra i nobili grossetani che giurarono fedeltà a Siena e a Re Manfredi nel 1264; Credo,nipote di Accorsi il carraio,divenne notaio e componente del Consiglio Generale della città e Acquisto il porcaro lasciò nel suo testamento parte dei suoi beni per l’identificazione della cattedrale di San Lorenzo. Nella seconda metà del Trecento le gravi epidemie di peste che colpirono anche la nostra città ebberero delle ripercussioni gravissime: la metà circa degli abitanti morì e la mancanza di uomini atti al lavoro che ne conseguì determinò l’abbandono delle terre bonificate e coltivate:in pochi anni il territorio intorno alla città fu ridotto a estesi e a malsani acquitrini. Inoltre,fenomeno tipicamente maremmano,nello stesso periodo,le acque del lago di Castiglione,non più collegate col mare,persero la salinità,quindi la loro capacità di impedire il diffondersi della malaria (le zanzare non si riproduco che in acque dolci). L’influentia maremmana, documentata dal XV secolo,trasformò la fertile e ricca Maremma in amara, portatrice di morte. Solo le opere di bonifica lorenesi realizzate nel corso del XIX secolo, e quelle conclusive degli anni Trenta del successivo,determineranno la rinascita e il rilancio della nostra terra.

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